Cento lire
“Buona sera.”
“Buona sera, prego accomodatevi.”
Entrando in quel bistrot dall’arredamento semplice e accogliente, posò i suoi occhi sulla lavagna che riportava i piatti del giorno. Le parole scritte con un gessetto arancione la condussero come viaggiatrice occasionale nel mondo di quei quei ricordi che, meglio di ogni altra cosa, sanno evocare ciò che non c’è più.Era cresciuta in un ristorante. Quanto può essere importante trascorrere la propria infanzia tra la gente, lo aveva capito nella scelta di diventare una sociologa. Il tramite tra la cucina ed il cliente, era suo padre. Pantalone nero, camicia bianca, papillon scuro, mocassini comodi e una capacità tutta particolare: sapeva portare sei piatti su una sola mano. Li sosteneva a testa alta, senza esitazioni. Cavolo! Quell’uomo dal bicipite teso e dal dopobarba al pino silvestre era suo padre!
“Ti do cento lire se indovini cosa ordina il signore che è appena entrato.”
Il più delle volte la bambina, acquisito il bottino, correva alla salumeria all’angolo a comprarsi un ghiacciolo al limone. Sceglieva per celebrare la sua vittoria un trofeo semplice, come se una nocciola o una lacrima di cioccolato potesse sottrarre qualcosa al nitore della sua vittoria. Si era convinta di essere talmente brava nell’esercizio da ridurre al minimo il tempo della riflessione.
Un’occhiata rapida all’avventore e giù di rigatoni, tagliatelle, pesce, carne, “insalatina”. Era difficile sfuggire alla sua penetrante lente orientata sul portatore di appetito.
“… Allora ti va bene quel tavolo?!”
Riafferrata dal presente, annuì. Concesse ancora qualche istante, però, al ricordo di quelle cento lire e pensò … che bravo era mio padre a fare ordinare ai suoi clienti quello io avevo indicato.
Anna Paola Lacatena